mercoledì 28 febbraio 2018

Dreamarcher - Harding: riscattare i violini dalle ceneri

(Recensione di Harding dei Dreamarcher)


Ancora una volta mi ritrovo a dover lodare la capacità della musica di essere un veicolo di tradizioni, di storia, di personaggi. Questa funzionalità della musica è essenziale per avvicinare le nuove generazioni a qualcosa che, altrimenti, rischierebbe di diventare passato e di finire nel dimenticatoio. Non solo, come ho sottolineato altre volte, l'aspetto fondamentale è che questa operazione non deve avvenire in modo necessariamente "folcloristico" ma si può basare nella contaminazione di generi, nel raccontare a ritmo di rock o metal delle storie di realtà non sempre molto conosciute.

Harding è un EP che nasce con un'idea molto semplice e chiara: essere un omaggio alla terra che ha visto nascere la band norvegese Dreamarcher. Fino a questo punto si potrebbe pensare che siamo di fronte ad un lavoro come tanti, anzi, come se s'inseguisse una strada già percorsa da parecchi altri gruppi, perché il senso d'appartenenza è sempre una delle vie più semplici da percorrere e siamo bombardati da dischi che parlano della propria terra. Ma in questo caso ci sono delle sensibili differenze che danno tutto un altro tocco. La prima è che musicalmente quello che viene costruito da questa band è assolutamente globale e contaminato. Il loro rock confina col metal in modo spregiudicato. Questo primo aspetto fa sì che questo sia un lavoro che può essere "capito" da tutti e non solo da chi cerca degli aspetti più autoctoni nella musica. L'altro aspetto è che per raccontare quello che viene raccontato nelle tre tracce che formano questo lavoro la band ha scelto di basarsi su gli scritti di giornalista, scrittore e blogger locale. Ma l'aspetto che incrementa maggiormente la grazie di quest'EP è il fatto che c'è tanto da raccontare su questa terra dove, come segnala la stessa band, gli uomini sono riusciti a sconfiggere la natura, coltivando terreni che sembravano incoltivabili, resistendo alle condizioni geografiche e climatologiche che spesso isolano questa zona dal resto del paese.

Harding

Ma l'orgoglio che si vede e si vive ascoltando Harding va anche oltre, perché in queste canzoni c'è un altro aspetto che viene evidenziato a più riprese. La regione d'appartenenza dei Dreamarcher è anche la zona dove la popolazione locale ha deciso per anni di allontanarsi dall'aspetto più tradizionale della religione e di vivere lontana da questi mandati ed imposizioni al punto che come risposta si sono ritrovate delle accuse di paganesimo e di patti diabolici. Forse a simbolizzare, e sintetizzare, tutto ciò c'è il violino tipico della zona, un violino generalmente di otto corde, che per anni è stato vietato, ricercato e bruciato. Ecco, questa rabbia che nasce dal paradosso di un atto che sembra così fuori da qualsiasi normale concezione è quello che più si respira in questo lavoro. Un modo di sottolineare che qualsiasi azioni esterna è inutile quando le idee e le intenzioni sono chiare. Per quello il rock e metal che sono udibili in questo disco non si si preclude ad alcuna via di sviluppo e abbiamo una chiara dimostrazione con la presenza dello strumento precedentemente incriminato come elemento che ingrandisce l'ultima traccia di questo EP: Omuta.

Harding

In un certo modo la riflessione che nasce ascoltando Harding è quella del conflitto che nasce tra il potere e la volontà d'imporlo per forza su qualsiasi persona, etnia, regione e nazione e la salvaguardia degli aspetti più personali e intimi di un soggetto o di una comunità. Qual è il limite da rispettare? Non è una risposta semplice ma la musica degli Dreamarcher dimostra come la modernità deve andare nella direzione di valorizzare quanto più possibile le caratteristiche di ogni posto, di esaltarle, di farle conoscere al mondo e di apprezzarle per quello che veramente valgono.

Dreamarcher

I diciotto minuti di durata di questo EP si dividono in tre brani, due molto ben sviluppo e un terzo molto veloce e concreto. Personalmente quello che più mi ha segnato e il terzo, e più esteso, cioè il prima nominato Omuta. Il brano mi sembra una sintesi perfetta di quello che viene messo in atto dalla band, cioè il modo di raccontare delle cose molto locali con uno sguardo assolutamente universale, cioè la capacità di introdurre degli elementi tipici della loro regione, come il violino locale e mescolarlo con metal e rock del nuovo millennio.


Un EP è sempre un formato un po' contraddittorio. Qualche volta sembra una scusa per smuovere le acque e far vedere che le band hanno del materiale nuovo da far sentire al mondo, qualche volta invece sembrano solo la genesi di un'opera che poteva e doveva essere più estesa. Curiosamente questo Harding mi sembra un perfetto equilibrio, dove non si eccede mai e non si ha neanche l'impressione di essere di fronte ad un'opera riempi buchi. L'intenzione era molto chiara ed è stata perfettamente portata a termine. Un bel lavoro dei Dreamarcher.

Voto 8/10
Dreamarcher - Harding
Indie Recordings
Uscita 09.03.2018  

martedì 27 febbraio 2018

Charun - Mundus Cereris: le anime tra di noi

(Recensione di Mundus Cereris dei Charun)


Una figura assolutamente affascinante è quella dell'essere che fa da ponte tra due mondi, quell'essere che ci "strappa" dalla vita terrena per portarci in quella, ipotetica, dimensione immortale. E' una figura affascinante perché sembra appartenere un po' a entrambi i mondi. Il suo compito non è affatto semplice e deve misurarsi con il dolore dei cari del defunto che non si rassegnano alla sua dipartita. Ma è inflessibile, incontestabile nel suo ruolo che deve assolutamente essere portato a compimento. 

La musica dei sardi Charun ha molto in comune con le caratteristiche indicate poc'anzi. C'è qualcosa di etereo, di divino e demoniaco nelle note da loro suonate, come se la loro musica avesse degli origini molto più profondi da quelli che in realtà ha. Tutte queste sensazioni vengono fuori dall'attento ascolto di Mundus Cereris, secondo album della band. Sarebbe facile pensare che questo accade perché la band si muovo su un piano strumentale e l'assenza di parole aiuta a inseguire quella direzione, ma sarebbe molto riduttivo. Ascoltando questo disco mi vengono alla mente due gruppi che hanno queste caratteristiche, cioè i giapponesi Mono e gli italianissimi Ornaments. Tutti e tre questi gruppi hanno la capacità di distogliere l'ascoltatore dalla dimensione reale e proiettarlo in mondo parallelo senza tempo e senza confini.

Mundus Cereris

Mundus Cereris è un disco fedelissimo al suo titolo, un lavoro che sembra essere veramente un contenitore di anime che vengono improvvisamente liberate con ogni traccia di questo lavoro. Ma c'è molto altro oltre al senso ultraterreno di questo lavoro dei Charun. Le anime non sono anime e basta, ma appartengono ciascuna a una figura che ha vissuto una vita particolare, che si è nutrita di esperienze, di gioie e di traumi. Qualcuno che se ne sarà andato con uno stato d'animo particolare. Qualcuno che magari non si era completamente realizzato, qualcuno che magari provava odio, qualcuno che non aveva avuto modo di esternare tutto quello che sentiva verso i suoi cari quando era in vita. Per quello questo non è un ritorno e basta ma diventa un ingente lavoro di comunicazione, di forza rivolta al mondo che è stato lasciato a proprio malgrado. Per quello questo disco ha una dimensione lontana dalla nostra realtà. Per quello anche se siamo di fronte ad un lavoro di post metal strumentale sembra in realtà di essere di fronte a una serie di brani senza epoca,che rispondono a racconti dimenticati nel tempo e che per fortuna ci giungono per farci capire che anche se il mondo si è evoluto ancora siamo immersi nel mistero dell'esistenza.

Mundus Cereris  è un canto d'anime, è un momento di solennità. E' assistere a uno spettacolo irreale dove non è facile capire se che si vede stia accadendo veramente o sia prodotto dell'immaginazione. I Charun ci guidano in questo viaggio senza paragoni, in questo modo di capire chi siamo, attraverso quello che sono stati quelli che c'erano prima di noi. C'è del cosmico, dell'ultraterreno ma anche tanta introversione perché ciascuno di noi è un cosmo che cerca di andare oltre alla propria realtà. Questo disco sembra di parlare di tutt'altro ma alla fine parla di ciascuno di noi come individuo complesso.

Charun

Pesco due brani da questo lavoro che, in tutti casi, merita di essere ascoltato per intero, senza interruzione e con la possibilità d'immergersi completamente nella musica.
Il primo è Nethuns ed è un brano che scorre come l'acqua, che scivola piano piano dandoci l'idea di quello che significa essere parte di un ciclo infinito che è legato alla vita. Prezioso e fondamentale, perché grazie alla partecipazione del compositore Stefano Guzzetti siamo di fronte a un punto d'inflessione dentro a questo interessantissimo album.
Il secondo è Menvra e di nuovo il titolo è fedelissimo a quello che viene suonato. Il potere e la saggezza mescolati alla femminilità. La capacità di essere autorevole nel modo che soltanto una donna riesce ad esserlo.


Questo secondo disco dei Charun certifica lo stato di salute della musica underground italiana. Nulla da invidiare a grandi realtà straniere dove, qualche volta, diventa più semplice portare avanti un discorso musicale di questo genere. Mundus Cereris è un disco ricchissimo, figlio di una coerenza musicale e di una voglia di trasmettere quello che si ha in mente. Bellissimo lavoro da ascoltare senza alcuna distrazione.

Voto 8,5/10
Charun - Mundus Cereris
Third I Rex
Uscita 25.02.2018

domenica 25 febbraio 2018

Deathwhite - For a Black Tomorrow: la potenza emotiva della tristezza

(Recensione di For a Black Tomorrow dei Deathwhite)


La musica è senz'altro un riflesso di quello che viviamo, dei momenti che attraversiamo, di come reagiamo a certi eventi. La musica può salvare la vita di ognuno o la può ingrandire e far diventare un attimo in un ricordo indelebile. Per quello la scelta di quello che bisogna ascoltare è sempre vasta ed ampia. Per quello quando si ascolta un certo brano, o un certo disco, in un determinato momento, l'effetto diventa molto più forte e importante che in un altro istante. Questa caratteristica, almeno per me, è anche legata ai diversi momenti della mia vita; anche se ho sempre mantenuto una certa coerenza nei miei ascolti e ci sono artisti e dischi che ascolto da una vita provando tutt'ora un grande amore, ci sono generi e gruppi che fanno parte ad un certo momento molto definito. 

For a Black Tomorrow

Alla fine degli anni 90 e nei primi anni 2000 uno dei generi che più mi segnò fu quello che veniva fatto all'epoca da grandi band come gli Anathema  o i Katatonia. Il loro modo di sintetizzare in brani concreti concetti come la tristezza, l'angoscia o tutto quello che di oscuro c'è nell'uomo era magico perché i loro brani arrivavano diretti, facili ma tremendamente inediti. Per quello la scoperta di For a Black Tomorrow degli statunitensi Deathwhite mi porta alla testa tutta una serie di ricordi obbligandomi a fare un saldo indietro nel tempo. Questo è il primo LP di questa band che ha deciso di non svelare l'identità dei musicisti "colpevoli" di riportare in primo piano quello che grossolanamente viene chiamato dark melodic metal. Le caratteristiche di quello che ci è dato da ascoltare corrisponde perfettamente con la musica portata avanti dalle band prima nominate e da qualcun'altra che all'epoca regalava grandi emozioni. E' giusto chiedersi, come faccio spesso, se questo lavoro ha un valore che prescinde dal legame sentimentale che posso avere con un determinato genere.

For a Black Tomorrow

La risposta, come al solito, non può essere autoritaria. For a Black Tomorrow è un disco che va al sodo, che ingloba in brani precisi tutta l'idea di quello che si vuole raccontare. I Deathwhite sanno che per fare funzionare in modo corretto i loro lavori, devono per forza concentrarsi su due elementi fondamentali: la melodia e la potenza. Per la prima la prova da fare è quella di ascoltare qualcuno dei brani di questo disco per poi ritrovarsi a ripetere mentalmente i fraseggi della voce o del riparto strumentale. Se accadde ciò vuol dire che la traccia è stata lasciata. Per questa parte mi sento di avvicinare la musica degli statunitensi a quella dei polacchi Riverside, anche se quest'ultimi abbracciano spesso una strada più progressiva che in questo lavoro non è assolutamente presente. Per quanto riguarda la potenza, invece, questa è presente in tutti i brani. Infatti questo è un lavoro che mantiene dei ritmi molto alti per tutta la sua durata. E qua il paragone che viene da fare ci porta direttamente alla musica dei Katatonia con quella base ritmica solidissima e quei riff di chitarra che non demordono mai e che regalano una base solida. Anche il lavoro vocale va molto in quella direzione. 

For a Black Tomorrow

For a Black Tomorrow è uno dei quei dischi che esalta l'oscurità interna di ognuno, quella rabbia che si trasforma in tristezza, la potenza dei sentimenti negativi. E' un disco che si nutre di quella oscurità, del senso di abbandono, della voglia di essere qualcos'altro e non quello che la vita ti porta a essere. I Deathwhite hanno la capacità di trasformare la materia e di avere un'energia quasi illimitata che viene restituita all'ascoltatore in ciascuno dei brani di questo loro debutto. 

Deathwhite

Pesco tre brani da questo lavoro che sicuramente vanno a farci capire qual è la direzione che è percorsa dalla band.
Il primo è The Grace of the Dark. Alle prime note sembra di essere di fronte ad un disco dei Riverside. Molto strutturato, molto emotivo, molto elegante. Non c'è dubbio, siamo di fronte alla emotività che viene tradotta in musica. Uno dei brani migliori di questo lavoro.
Il secondo è Just Remember. Come ho segnalato uno degli aspetti principali di questo disco è la potenza, il fatto che ogni brano non abbia punti d'inflessione, e la conferma arriva con questo brano. Sembra che le parole cantate trovino un terreno fertile in ogni nota suonata con voglia, con l'intenzione di ingrandire ancora di più lo stato emotivo di quello che si canta.
L'ultima è Prision of Thought. Anche in questo caso la potenza viene messa in primo piano, grazie alla successione di giri di chitarra che si susseguono sicuri e presenti. Ma come succede spesso la maggiore forza emotiva non si ottiene rincarando la dose ma dando respiro, per quello tutte le parti di chitarra acustica sembrano dare ancora più grandezza al risultato finale.


Rispondendo alla domanda fatta qualche paragrafo fa, For a Black Tomorrow è un disco che ha la capacità di lasciare una traccia nell'ascoltatore, di regalarli elementi nuovo nei quali specchiarsi o specchiare un certo momento della propria vita, passata, presente o futura. Bel debutto dei Deathwhite, capaci di riprendere in mano un genere che sembrava appartenere ad un passato ma che conferma ancora una volta di essere qualcosa senza tempo, perché l'unico peso utile è quello dell'emotività, e quella non ha mai una sua età.

Voto 8/10
Deathwhite - For a Black Tomorrow
Season of Mist
Uscita 23.02.2018

venerdì 23 febbraio 2018

The Osiris Club - The Wine-Dark Sea: bere un tè con Lovecraft

(Recensione di The Wine-Dark Sea dei The Osiris Club)


Io non so bene definire una formula dietro allo sviluppo di ogni essere umano. Credo che siamo l'insieme di quello che viviamo, di quello che facciamo, di quello che ci segna. Ognuno con la propria realtà si costruisce un mondo interno che cresce sempre di più. Sarebbe bello, e giusto, secondo me, che la cultura, a trecento sessanta gradi, sia presente nella vita di ciascuno, perché è grazie alla cultura che diventiamo qualcos'altro, che sogniamo, che tocchiamo vette che sarebbero impossibili da raggiungere. 

The Osiris Club è una band che si nutre d'influenze, di citazioni, di letture e di tante altre ore di ascolto. Tutto questo viene messo in evidenza in The Wine-Dark Sea, secondo disco dei londinesi. Viene messo anche alla luce la loro marcatissima appartenenza geografica. Questo è un disco che sa di british dall'inizio alla fine e che dimostra, ancora una volta come la musica ha delle caratteristiche molto particolari asseconda di dove viene composta. Posso aggiungere altro indicando che questa band è una fedele ereditiera del prog anni 70 ma vissuti con un'ottica leggermente diversa. Infatti la loro musica è meno "cervellotica" e anche se si nutre da lunghi brani molto strutturati non satura mai, come se ci fosse un permanente ampio respiro.

The Wine-Dark Sea

The Wine-Dark Sea, in tutti casi, non ha solo questa caratteristica. Un altro elemento fondamentale per comprendere fino in fondo questo lavoro è il filo logico che unisce tutti i brani, cioè uno sguardo rivolto verso la letteratura horror di autori celebri come Lovecraft o Aickman. E forse qui radica la chiave di lettura di questo disco, perché storicamente questo genere di letteratura ha dato nascita a tanti "figli" ma mi è difficile pensare ad un approccio così elegante e corretto come quello dei The Osiris Club. Infatti ascoltando le tracce di questo lavoro sembra di vivere una dimensione nel profilo intellettuale degli scrittori che hanno dato nascita a un nuovo modo di vedere e di vivere la letteratura dell'orrore. Non più il romanticismo gotico del passato ma uno sguardo sempre rivolto a quello che significa l'ignoto e le vere paure che ci governano. 
Il modo di raccontare queste storie è così elegante che se si pensa di essere di fronte ad un disco dissacrante e viscerale si è assolutamente fuori strada. La storia, o l'insieme di storie raccolte in questo disco entrano morbide come una carezza che si traveste di rock progressivo di scuola britannica. 

The Wine-Dark Sea

The Wine-Dark Sea diventa, allora, una specie riflessione sulla letteratura dell'orrore, sul modo nel quale certi autori ci hanno regalato una dimensione nuova che non tramonta mai e che affascina nuove generazioni. The Osiris Club hanno la qualità di regalare un disco senza tempo ma che, nello stesso tempo, non poteva che nascere nei nostri giorni. Infatti questo potrebbe sembrare un lavoro anacronistico ma invece si svela una fondamentale evoluzione di storie e generi che non passano mai di moda.

The Osiris Club

Consiglio particolarmente l'ascolto di due brani.
Island of Stone che vede la fortunata presenza di Kristoffer Rygg degli Ulver alla voce. Forse questo è il punto più "moderno" dell'intero lavoro. Un brano di forte impatto che ricorda quello che viene fatto dai Porcupine Tree, altri fedeli ereditieri del legame progressivo.
A Winters Night on Sentinal Hill. Il brano epico del disco che regala undici minuti di schitarrate in stile King Crimson anni 70, costruendo un atmosfera onirica inquietante. La divisione del brano in ben tre parti ricorda ancora di più l'idea della costruzione di quei brani progressivi vecchio stampo che fanno parte del patrimonio universale della musica.


The Wine-Dark Sea è un disco pulitissimo che funziona perfettamente riuscendo ad abbracciare gli scopi che presumibilmente si era fissato. Il regalo che ci viene fatto dai The Osiris è quello di riportarci in piena natura il mondo letterario dell'orrore ben scritto e il rock progressivo con una fortissima traccia britannica. Due elementi preziosi che devono essere sempre rispolverati. 

Voto 8/10
The Osiris Club - The Wine-Dark Sea
Indie Recordings
Uscita 23.02.2018


giovedì 22 febbraio 2018

Phantom Winter - Into Dark Science: a tu a tu con i tuoi demoni

(Recensione di Into Dark Science dei Phantom Winter)


Sin da tempi immemori c'è stata l'idea che la conoscenza umana fosse molto limitata e che, per spanderla, ci fossero due vie da percorrere: quella della luce e quella dell'oscurità. Due vie diverse con due percorsi diversi, due vie che differiscono soprattutto per quanto riguarda i limiti da oltrepassare. In un certo modo la via dell'oscurità inizia lì dove quella della luce finisce. 
C'è un altro concetto molto interessante legato alla via dell'oscurità, ed è il fatto che molto spesso viene percorsa come un'ultima risorsa, come se fosse l'ultimo stadio disponibile per riuscire a compiere certe pretese. La letteratura ci regala innumerevoli capolavori che ci parlano di quella strada, di quel modo di vivere insieme ai nostri demoni quando in realtà quello che cerchiamo e di scacciare via quei demoni.

Il terzo disco dei tedeschi Phantom Winter è un chiaro omaggio ai demoni interni di ognuno di noi. Per quello Into Dark Science è un'opera introversa che si nutre da concetti ed idee universali ma che hanno tutt'ora un risvolto assolutamente attuale. Per quello i contrasti che ci regala sono dei contrasti che riflettono fedelmente quello che è la nostra avventura in questa vita, quel modo di volere vivere al meglio ma essere spesso bloccati dai nostri propri demoni interni. Per quello questo disco è volutamente un disco urlato, viscerale, ma è, nello stesso tempo, un disco che sa di profondità abissale, di storie antiche, di miti che sono così scioccanti da non essere mai sicuri dalla loro veracità. E curiosamente grazie a tutta questa angoscia questo disco diventa un lavoro di una bellezza unica.

Into Dark Science

Into Dark Science è uno di quei lavori dove tutto ha una coerenza. Dove la sovrapposizione delle voci crea un tessuto sonoro che non è altro che lo specchio di quello che si canta, delle storie che vengono raccontate. Ma il lavoro dei Phantom Winter va anche ben oltre. Lo sforzo da loro inseguito, e ben riuscito, è quello di tradurre con la musica questo tetro paesaggio. Per quello è difficile definire quello che fanno. Nel nostro aiuto viene proprio il gruppo che definisce la propria musica come winterdoom, cioè un doom gelido, volutamente intransigente, che va al di là della normale "tristezza" del genere e che cade nell'apatia più assoluta. Ma personalmente credo che questa definizione lascia fuori tutta una grande serie di idee che vengono messe in gioco attraverso la musica della band. Per esempio tutta la parte post metal o quella sperimentale che porta a unire alla loro musica dei rumori reali. Se c'è qualcosa che può funzionare come filo conduttore di tutti questi concetti quello è la gelida disperazione, la voglia di essere dissacranti perché come indica chiaramente il titolo di questo disco loro abitano nell'oscurità, e non hanno alcuna voglia di far entrare neanche il minimo raggio di luce.

E' difficile dire che questo lavoro possa piacere a qualsiasi persona. Anzi, la grande maggioranza appena ascolterà le prime note di Into Dark Science dichiarerà che non è roba per loro. E questo è un grandissimo peccato, perché bisognerebbe imparare a guardare il mondo con altri occhi. Bisognerebbe conoscere i propri demoni interni perché solo con la consapevolezza del buio che abita in noi possiamo crescere. Questo è il grande pregio dei Phantom Winter, che riescono a essere dissacranti ed onesti nel loro modo di raccontare i propri demoni. Un'oscura onestà dalla quale tutti dovremmo essere consapevoli.

Phantom Winter

Musicalmente questo è un lavoro molto intenso, un disco che non ha punti bassi o momenti nei quali venga persa la direzione essenziale che s'intraprende. Anzi, succede tutto il contrario, ci sono sorprendenti inserzioni sonore che accrescono tutto quanto.
Per esempio in The Initation of Darkness, dove le registrazioni vocali femminili, il rumore di campane o la breve melodia di flauto sintetizzata danno una dimensione ulteriormente ricca e completa di quello che è un brano impressionante, che sembra calmarsi per por dare la botta definitiva. Un brano immenso.
In Frostcoven invece l'idea è più asciutta, più elementare. Nei cinque minuti e venticinque di brano la band da mostra di quello che sa fare magistralmente. La linea di chitarra è impeccabile, un tappetto sonoro che sorregge l'intensità emotiva del brano, l'urlo potente mai ingabbiato. 


Into Dark Science non è un disco che loda i fascini dell'oscurità. No, sarebbe tremendamente sciocco fare un ragionamento del genere. I Phantom Winter scattano una fotografia perfetta, piena di dettagli, di quello che significa vivere dentro all'oscurità. Di come accadde che i demoni oscuri che vogliano far emergere per toccare nuove vette finiscono per consumarci. E' una tragedia ricorrente nella storia dell'uomo, ma se è così è perché ancora non abbiamo imparato a conviverci. 

Voto 9/10
Phantom Winter - Into Dark Science
Golden Antenna Records
Uscita 02.03.2018

lunedì 12 febbraio 2018

Erdve - Vaitojimas: precipitare dentro

(Recensione di Vaitojimas degli Erdve)


Sembra assurdo e paradossale che più si va avanti e più sembra che il nostro mondo tolleri certi atteggiamenti dal mio punto di vista inaccettabili. Come se un certo genere di violenza sia da accettare senza fiatare, come se fosse normale che "la vita è dura e bisogna difendersi con unghie e denti". Per me tutte queste attitudini non vanno che a rafforzare un'idea chiara: sempre più spesso accettiamo dei disturbi mentali senza trattarli come tale. Perché qualsiasi persona che gode a fare del male agli altri è qualcuno con gravi disturbi, e nessun aspetto dovrebbe essere mai accettato.

Vaitojimas

Nel lungo viaggio musicale che ho intrapreso da quando ho aperto questo blog per la prima volta atterro in una nazione che sembra essere sempre più moderna e sviluppata: la Lituania. Tutto ciò grazie a Vaitojimas, primo album degli Erdve. Il debutto è sempre un punto critico, un modo di spalancare porte o di finire in un oblio dal quale non si è mai uscito. Se mi ritrovo a parlare di questo disco e di questa band è perché, in questo caso, siamo di fronte ad un'opera massiccia, riuscitissima, trascinante e incredibilmente matura. Bisogna prendere in considerazione che siamo di fronte ad un gruppo che esiste dal 2016 ma che sembra avere una padronanza incredibile su quello che vuole esprimere a livello musicale. Non è qualcosa di scontato perché la band non prende una strada già tracciata ma cerca di aprirsi passo attraverso la propria concezione musicale, processo mai immediato e che molto spesso necessita di grandi sbagli per rettificare la rotta. Invece nel caso della band lituana tutto ha una sicurezza conclamata, una personalità che dimostra che sia individualmente che in gruppo i musicisti di questa band sanno perfettamente quello che vogliono.

Vaitojimas

Vi parlavo di una strada nuova, quella che vogliono percorrere gli Erdve, una strada fatta di prendere certe caratteristiche di diversi generi musicali per poi incanalare tutto in un unico torrente. Vaitojimas è un disco che per certi versi mi ricorda  molto quello che viene fatto dai Nidingr, dando una nuova vita al black metal ma sarebbe molto riduttivo limitarmi a dare quell'unica indicazione. C'è tanto altro in questo disco, c'è un'attitudine hardcore e post hardcore, ci sono momenti sludge e, aggiungo io, ci sono delle chiare strizzatine d'occhio verso il post metal e la propria capacità di generare spazi sonori inarrivabili. 
Ma tutto ciò sarebbe il nulla se non ci fosse un elemento a giustificare qualcosa del genere. Quell'elemento è la rabbia musicale della band, la voglia di portare nel formato "musica" una serie di riflessioni verso la pazzia aggressiva del mondo, verso le aberrazioni commesse quando si perde il lume non solo della ragione ma di quello che significa essere "umano". Per quello ci vogliono atmosfere rarefatte, per quello i colori di questo disco sono il nero, il grigio e il rosso, per quello questo è un disco che scuote l'ascoltatore.

Vaitojimas

La mente umane è fragilissima. Basta che entri dentro a un vortice per non riuscire più a vedere la luce, affondando sempre di più l'individuo che precipita in quell'abisso,  trascinando con sé le persone che stanno intorno. Questo è il racconto di questo Vaitojimas. E' la descrizione di quest'abisso, di quella discesa inarrestabile e delle sue conseguenze. La musica degli Erdve è viva andando al di là di qualsiasi dimensione. E' una musica che si respira, che si vede, che si soffre, che ci angoscia ma che diventa spunto perfetto di riflessione.

Edrve


E' difficile andar a individuare i brani migliori di questo disco perché dal mio punto di vista il livello di tutte le tracce è molto alto e coerente, ma cerco di raccontare i due brani che più mi hanno colpito.
Il primo è Išnara. Bellissimo nella sua intro rarefatta e ricercata, forse è una delle espressioni più fedeli della concezione musicale messa in atto dalla band. E', anche, un brano dove il lavoro strumentale dietro a questo disco viene esaltato. Gli intrecci tra basso, chitarra e batteria diventano dei flussi che s'incontrano, scontrano, uniscono e rifiutano. Preziosa, uno dei migliori brani che ho ascoltato ultimamente.
Il secontro è Atraja. Se il primo brano era ipnotico, ricercato, esaustivo questo qua è di  un'effettività impressionante. Un brano che non nasconde nulla, che diventa una dichiarazione d'intenti, una dimostrazione della potenza che si cella dietro alla band. 


Il coraggio paga, sempre. La sfacciataggine di essere l'ultimo arrivato ma di urlare quello che si ha dentro. Gli Erdve difficilmente potevano presentarsi in società con un disco migliore di questo Vaitojimas. Si respira la loro onestà, la loro intenzione e, la cosa più ardua in assoluto, il modo di trasformare in musica le loro idee e concetti. Una bomba musicale da far esplodere ripetutamente.

Voto 9/10
Erdve - Vaitojimas
Season of Mist
Uscita 09.02.2018

Pagina Facebook Erdve
Pagina Bandcamp Erdve

venerdì 9 febbraio 2018

Harakiri for the Sky - Arson: ingrandire i sentimenti per creare arte

(Recensione di Arson degli Harakiri for the Sky)


La psiche umana è molto complessa. Si traveste di altalena passando da un'estremo ad un'altro con una facilità impressionante. L'estasi e la disperazione di assomigliano tantissimo perché entrambi questi stati emotivi ci trasportano in una dimensione diversa da quella che viviamo la maggioranza del tempo. Per quello entrambi vengono glorificati ed esaltati, perché se c'è qualcosa di certo è che la vita non deve essere mai piatta. Come la musica.

Arson è il quarto disco degli austriaci Harakiri for the Sky, band che nell'ultimo decennio si è fatta valere come una delle maggiori rappresentanti di un genere musicale abbastanza nuovo, com'è il atmospheric post rock che nel caso di questa band si fonde con il black metal. Per quello è indubbio che le aspettative di fronte a questo nuovo lavoro sono abbastanza importanti. 
Qual è il modo migliore di rispondere a una tal pressione? Quella di continuare indisturbati a fare quello che si sa fare, ed è proprio quello che la band austriaca fa in questo nuovo lavoro. Nessun travolgimento, nessuna rivoluzione, nessun modo di smettere di essere quello che è. E anche se le cose prendono quella direzione, che potrebbe sembrare molto statica, quello che viene fuori è un lavoro riuscitissimo che stenta ad avere dei punti deboli. 
Infatti ogni nota suonata in questo disco ci fa capire che la capacità musicale della band è brillante, attiva, presente.

Arson

Arson è un disco di sovrapposizioni. E' un'insieme di sensazioni musicali che trovano una coerenza fondamentale in un contesto affatto scontato. E' un disco che si nutre di malinconia, di melodie che rimangono facilmente impresse nella testa che vengono messe in contrasto con una base ritmica trascinante e con dei riff di chitarra che dimostrano con chiarezza che il mondo d'appartenenza degli Harakiri for the Sky è quel metal che non guarda in faccia nessuno, un metal che passa anche ad essere una filosofia di vita o un modo di guardare il mondo. Per quello ci si sorprende a scoprire che ogni brano di questo disco nasce e si sviluppa in direzioni impensabili che ci portano da momenti marcatamente black metal a piccoli intermezzi strumentali che sembrano venire fuori da dischi di quel così chiamato "alternative metal". Naturalmente tutto questo viene messo in comunicazione con dei momenti dove la componente post rock ricrea delle atmosfere solide ed impeccabili. Siamo di fronte a dei brani con tante vite, vite molto diverse ed interessanti. 
Un altro aspetto che bisogna sottolineare è la monumentalità di questo disco, non soltanto per la durata di ogni brano, che non vanno mai sotto gli otto minuti, ma anche per la durata complessiva di tutto questo lavoro, andando ben oltre all'ora di musica, qualcosa che sembra essere molto contrastante con la maggioranza dei dischi che si pubblicano nei nostri giorni.

Arson

Credo che è proprio quella grandezza a essere il filo conduttore di Arson. In questo disco tutto è monumentale, a volte perché la natura degli elementi che lo costruiscono è proprio così, a volte perché gli Harakiri for the Sky tendono ad ingrandire tutto quanto, a rendere esagerata la loro musica. Questa loro intenzione è quella di portare l'ascoltatore ad una dimensione che si discosta dal quotidiano e dalla normalità. In positivo o in negativo tutto diventa più grande in questo disco toccando così l'essenza di quello che significa fare arte.

Harakiri for the Sky

La copia di questo lavoro che ho avuto modo di ascoltare è quella con un bonus track veramente gustoso, per quello delle due canzoni che pesco come esempi migliori di questo disco una è proprio quella traccia.
Ma andiamo prima con quella che è fedelissima rappresentazione di quello che è questo disco. La mia scelta ricade su Fire, Walk with me. Il brano che apre il disco non solo ha un titolo che ci proietta subito nel mondo di quel regista visionario com'è David Lynch ma ci fa capire anche la dimensione della musica degli austriaci volutamente va incontro a quei angoli della mente difficilmente esplorabili. Senza però cadere in incoerenze o linguaggi artistici di difficile comprensione. 
La bonus track è invece una bellissima cover di Manifesto dei Graveyard Lovers e come succede più di qualche volta la cover sembra superiore alla versione originale. Ma la sua grazia in questo disco non sta solo in quello ma anche nel fatto che si trasforma in una canzoni che dà una direzione diversa, un respiro dentro alla personalità più costante di questo disco, e queste aperture sono preziose.


Arson è un disco che colmerà indubbiamente tutte le aspettative dei fan degli Harakiri for the Sky, questo perché è un disco senza punti deboli, un disco con una solidità tale da dimostrare che lo stato di salute della band è ottimo, come se fosse un fiume in piena che non ha alcuna intenzione di fermarsi. Un'intensa esperienza nella quale immergersi per evadere dal mondo.

Voto 8/10
Harakiri for the Sky - Arson
AOP Records
Uscita 16.02.2018