mercoledì 30 agosto 2017

Dimman - Guide my Fury: sorprendente equilibrio giovanile

(Recensione di Guide my Fury dei Dimman)


Penso che pochi generi musicali riescano ad ospitare così tante differenze quante ne ospita il metal. Possiamo ritrovare di tutto dentro a questo oceano vastissimo, nel quale nuotano dei progetti che arrivano quasi ad essere diametralmente opposti. Forse per quello ritengo che il metal sia bellissimo, che abbia una vita lunghissima e che qualsiasi persona potrebbe ritrovarsi ad ascoltare e seguire con piacere determinati sotto generi o gruppi. 

Un altro elemento fondamentale del metal è che le contaminazioni tra generi sono costanti, qualcuna determinando già la nascita di nuovi generi conclamati, qualcun'altra regalando delle fresche novità. In quel senso devo dire che il lavoro che ci permette di conoscere la musica dei finlandesi Dimman è un perfetto esempio di queste combinazioni, in questo caso facendo affidamento a delle formule conclamate e sempre effettive. Il lavoro si chiama Guide my Fury ed è un EP piacevolissimo e di grande sicurezza. Infatti non sembra proprio di essere di fronte ad una band abbastanza giovane. Attraverso le cinque tracce che costruiscono questo disco abbiamo la possibilità di conoscere l'intenzione musicale della band e ben sperare nella strada futura.

Guide my Fury

Ma vediamo musicalmente qual è l'insieme di generi che vengono messi in gioco. Direi che ci sono tre mondi principali che s'intrecciano. Il primo è quello del death metal melodico, il secondo quello del metal progressivo e per completare il quadro ci metto dentro qualcosa di più sinfonico, per via dell'utilizzo delle tastiere, a tratti protagoniste totali di certi intervalli strumentali. Questo è sicuramente un connubio che conta con molti esempi tangibili. Nel caso dei Dimman ribadisco che il risultato non sembra per nulla quello di un gruppo che esiste da relativamente poco tempo, ma Guide my Fury si sviluppa molto piacevolmente, arrivando a dare l'impressione di essere finito anche troppo presto. A dare quest'impressione ci pensa la bella coesione strumentale del gruppo, che viaggia su alti livelli. Da una parte c'è una grande compattezza e dall'altra c'è una distribuzione dei ruoli che funziona alla perfezione, dando così dei momenti di protagonismo alle voci, growl e pulita, alla chitarra e alle tastiere. Tutto quanto viaggia su una base ritmica compatta e funzionale. 

Un aspetto che mi piace molto di questo Guide my Fury è la capacità di ribadire quello che sono gli aspetti principali del melodic death metal, un genere che è stato molto illuminante quando è appena apparso. E' questa comunione tra grinta ed energia ed un messaggio che riesce ad arrivare diretto, essendo anche alla portata di molti ascoltatori. Se a tutto ciò ci aggiungiamo l'aspetto progressivo viene fuori che i Dimman  riescono perfettamente a sintetizzare una serie di idee in un EP che funziona molto bene.

Dimman

Avendo solo quattro tracce più una quinta che è la versione orchestrale di un'altra pesco solo una canzone da illustrarvi più nel profondo.
Questo brano, che funziona perfettamente come single, è My Head My Prison. Qua abbiamo una bella sintesi di tutto quello che ho cercato di illustrarvi fino ad adesso, cioè la coesistenza della parte melodic death metal con quella progressiva, avendo anche qualche dettaglio sinfonico. Per certi versi questo è un brano che ci riporta indietro nel tempo ricordandoci i più celebri lavori di band come In Flames, Dark Tranquility o Gardenian. Bellissimo è il confronto tra voci pulite e distorte e i cambi di dinamica che lasciano e tolgono spazio alle tastiere. Brano che funziona molto bene ma che finisce troppo presto.


Como capita spesso penso che avendo come lavoro di esordio un EP, sia sempre buona prassi congelare un giudizio più approfondito in attesa di un lavoro più lungo ma, ribadisco, nel caso dei Dimman c'è da dire che tutte le carte sono a posto. C'è un bellissimo sforzo di essere concreti senza perdere mai il nord. Infatti è da celebrare il bell'equilibrio che governa la band, sia come generi che come convivenza di strumenti. E' per quello che consiglio questo Guide my Fury incuriosito da eventuali nuovi lavori della band.

Voto 8/10
Dimman-Guide my Fury
Inverse Records
Uscita 25.08.2017

Pagina Facebook Dimman

giovedì 24 agosto 2017

Caronte - Yoni: Thelema fatta musica

(Recensione di Yoni dei Caronte)


Un aspetto abbastanza interessante dentro della musica è quello della consapevolezza. Sicuramente è un fattore che appartiene alla vita un genere ma nella musica è molto interessante che qualcuno senta di essere giunto ad un certo punto. Questo perché, quando si arriva a quel punto, si ha la sensazione di aver fatto qualcosa che difficilmente sarebbe andata meglio. Un po' come se il collegamento tra la creatività ed il risultato finale fosse un ponte dritto che funziona alla perfezione. Arrivarci non è semplice, ma se ci riesce è una bellezza.

Il terzo album dei nostrani Caronte viene a chiudere un ciclo che raggruppa i primi sette anni di vita della band. L'album in questione si chiama Yoni ed è la terza parte di una trilogia dedicata alla Thelema, filosofia inventata da uno dei personaggi più complessi ed interessanti del secolo scorso: Aleister Crowley. Infatti questo disco riesce a ricreare attraverso la sua musica quello che è l'immaginario legato a questa figura. Non soltanto, le scelte musicali della band spesso ci riportano indietro nel tempo, creando un ulteriore collegamento con l'immagine che da sempre è esistita della parte thelemica nella musica. Questo potrebbe perfettamente essere un disco uscito 40 anni fa, quando il doom iniziava ad avere delle caratteristiche molto specifiche che rispondevano non soltanto ad un certo genere di struttura musicale ma anche al modo di raccontare certe tematiche. Per quello c'è del mistero in questo disco. Per quello c'è anche una grande dose di oscurità, ma un oscurità particolare, mai eccessiva. Infatti questo non è un lavoro che celebra certe cose ma piuttosto ci gioca intorno. Come se volesse attrarre e scandalizzare allo stesso tempo. E ci riesce, perché le solite persone di mentalità chiusa e tradizionalista urleranno alla blasfema, invece chi avrà una mentalità più aperta proverà ad avvicinarsi ad un mondo che è sempre rimasto come molto marginale, quando invece, se si facesse un analisi accurato, ci sono degli insegnamenti molto validi che vanno aldilà di qualsiasi pensiero religioso.

Yoni

Il grande vantaggio che i Caronte riscontrano nella loro musica è il fatto di essere legati a delle immagini molto chiare, immagini che si tramutano in un mondo, musicale e filosofico, dove il doom passa ad essere qualcosa in più che un "semplice" genere musicale. Per quello i fans di queste sonorità troveranno che Yoni è un disco perfetto. Un lavoro che racchiude l'essenza stessa del doom, di quel modo di vivere e di essere. Infatti questo disco è costruito con una grandissima personalità, con la voglia di dimostrare che le storie che vengono raccontate prendono un colore molto particolare e non lo abbandonano mai. Questo lavoro è una specie di "full immersion" in un mondo alternativo, spesso guardato male dalle menti più conservatrici. Per quello funziona molto bene, perché, in un certo modo, è un lavoro puro. Non necessita di virtuosismo o di contaminazioni, viene fatto con un'intenzione chiara ed è quella che viene raggiunta. 

Yoni

Mi è capitato di ascoltare questo disco in diversi momenti divisi da diversi giorni. Questo, senz'altro, dovrebbe essere un esercizio da fare con qualsiasi disco, ma in questo caso mi sono ritrovato ad essere sempre più immerso dentro all'idea che viene sviluppata dentro a Yoni. Questo non può essere che un segnale di una buonissima riuscita e si capisce perché gli stessi Caronte parlano di essere stati in grado di chiudere al meglio questa trilogia che ingloba i loro primi sette anni di vita. E questa è una sensazione che viene fuori andando aldilà dei singoli gusti musicali, perché quando si utilizza un ascolto critico è impossibile non denotare le virtù di questo disco.

Caronte

Pesco due canzoni da sottoporvi ad una maggiore attenzione. 
La prima è la prima traccia Abraxas. Il collegamento con un passato musicale è praticamente immediato. Diventa molto chiaro che la band non ha alcuna intenzione di "mascherare" il proprio messaggio, ma che, al contrario, vuole che entri prepotentemente nella testa di ogni ascoltatore. Per quello i riff di chitarra sono semplici e contundenti, perché vogliono essere un martello che non si ferma mai. 
Il secondo brano da segnalarvi è The Moonchild. Bisogna dire che le linee generali che riguardano la parte musicale sono costanti in tutto il disco, per quello non bisogna aspettarsi stravolgimenti con rispetto alle altre tracce. Ma in questo brano, in particolare, è molto interessante il dialogo che si forma tra la voce principale e il coro. C'è qualcosa di sacro e blasfemo nello stesso tempo, oltre a restituirci l'idea di un coro che verrà urlato dagli spettatori di un eventuale concerto della band.

Yoni è trasparente dentro alla sua atmosfera misteriosa. Yoni è un disco che non regala tante possibilità di letture diverse, perché ha le idee molto chiare e ci arriva con una semplicità che è tutto tranne che "semplice". Perché i Caronte riescono a buttare nelle sette tracce di questo disco tutto quello che hanno in mente senza perdere mai il loro nord. O sarebbe meglio dire il loro sud del cielo?

Voto 8/10
Caronte - Yoni
Ván Records
Uscita 25.08.2017

Pagina Facebook Caronte

sabato 19 agosto 2017

Fornhem - Ett Fjärran Kall: una nuova vecchia identità

(Recensione di Ett Fjärran Kall degli Fornhem)


In un'epoca dove la globalizzazione ha raggiunto livelli altissimi viene da chiedersi più che mai quale sia il peso delle tradizioni. Purtroppo si cade spesso nell'errore che la difesa di tutti gli aspetti culturali, propri di una nazione, devono essere difesi con ardore e con odio verso tutto quello che viene da fuori. Dal mio punto di vista non c'è nulla di più sbagliato, perché storicamente sono le contaminazioni culturali quelle che hanno permesso di avere una serie di tratti identificativi associati ad ogni nazione o persona. Tra l'altro il mondo è sempre stato un contenitore di evoluzioni, fondamentali a migliorare certi aspetti ed eliminarne altri. Per quello ben venga la tradizione, ma difesa nel modo giusto e raccontata, anche, con modi moderni.

Ett Fjärran Kall

Infatti, in questa linea, il black metal è sempre stato un modo validissimo di raccontare aspetti culturali e tradizionali, soprattutto dei paesi scandinavi. Ed anche se qualche volta questo modo di esaltare questi aspetti ha preso delle sfumature xenofobe c'è da dire che utilizzare un linguaggio moderno come quello del metal è una chiara dimostrazione di come la tradizione deve evolversi e portare aria fresca al modo di essere raccontata e trasmessa.
Ett Fjärran Kall è il primo lavoro degli svedesi Fornhem e dimostra che il black metal ha degli aspetti che lo fanno diventare, sempre, uno dei generi più funzionali ed interessanti all'ora di raccontare il patrimonio culturale e letterario della cultura scandinava. Per quello, oltre al lavoro che fanno magistralmente in questo genere musicale, volutamente lasciano un grande spazio d'influenza del folk metal, come se l'unione di questi due generi fosse qualcosa di così naturale che non c'è alcuna forzatura nell'adoperare una formula del genere. Questa anche perché l'equilibrio tra entrambi i generi non è paritario: le fondamenta sono quelle del black metal e le pennellate sono del folk metal. Ma questa dinamica non è casuale e, credo, è fondamentale soffermarsi un po' su di essa.

Ett Fjärran Kall

Anzi tutto bisogna dire che Ett Fjärran Kall è un album molto esteso ma che è composto di ben solo quattro tracce. Quattro canzoni che hanno una durata che varia dai 7 minuti e 46 fino ai 15 minuti e 06. Vale a dire dei brani molto contundenti sia in durata che in intenzione. Detto ciò bisogna addentrarsi nel come vengono costruiti questi brani. A questo punto bisogna far ricorso alla voce dei Fornhem che raccontano che la loro intenzione è di essere il più minimalisti possibile per regalare all'ascoltatore la possibilità di apprezzare al meglio la bellezza del black metal. Traducendo tutto ciò quello che viene fuori è che la durata importante di questi brani non dipende da costanti cambiamenti, che prendere così una piega più progressiva, ma dalla reiterazione quasi ossessiva di certi riff. Infatti se andassimo a scremare al massimo ciascuna delle quattro canzoni di questo disco potremmo vedere che quello che ne viene fuori non è tanto complesso dal punto di vista compositivo ma che acquista tutta la sua luce dalla volontà d'inculcare, nell'ascoltare, uno stato d'animo particolare, una specie di viaggio in un'altra dimensione, quella che viene fuori dalle tematiche e dalle parole della band. Ripeto che questo sforzo di essere reiterativi è assolutamente consapevole e, sempre in parole della band, viene fatto con naturalità, con la voglia di scrivere dei brani che siano coerenti e che funzionino al meglio. 
Un altro aspetto che bisogna approfondire è quello della presenza del folk metal. Come ho detto prima la sua importanza in questo disco non è a pari livello da quella del black metal. Ma questo non vuole dire che non sia preziosa la sua presenza. Posso dire che quando ci ritroviamo con il folk metal è quando i brani respirano. Quando l'intensità sonora portata avanti dalla band ci da un po' di tregua permettendo degli spazi di contemplazione. E' un trucco che funziona molto bene, anche se sarebbe una buona idea che il gruppo insistesse su questa linea. Il confronto che si genera tra le due parti è molto effettivo e invoglia ulteriormente ad addentrarci nelle creazioni narrative e musicali della band.

Ett Fjärran Kall

Ett Fjärran Kall è un lavoro che ricorda perfettamente il perché il black metal è diventato uno dei generi più popolari del metal. E' la contraddizione tra il "rumore" di queste chitarre martellanti e la ritmica decisa e lineare della batteria e la bellezza delle piccole sfumature che vengono aggiunte o di quello che bisogna filtrare. Sono le melodie nascoste, sono le sovrapposizioni di diverse linee che regalano un disco interessante, da ascoltare con cura e concentrazione. I Fornhem avevano le idee chiare e sono riusciti a portarle a termine.

Fornhem

Visto che i brani che costruiscono questo disco sono quattro io sottopongo alla vostra lettura quello che mi è sembrato il più interessante.
Si tratta di Úrdjupets Svärta e se l'ho scelto è perché si tratta di una traccia dove gli elementi migliori, dal mio punto di vista, vengono esaltati maggiormente. L'introduzione acustica, chiaramente folk, che presenta il fraseggio essenziale del brano, diventa ancora più importante quanto entra in gioco la chitarra elettrica. Questo passaggio è bellissimo ed intenso. Ma tutto il resto che troviamo dentro fa crescere ancora di più quello che ascoltiamo. Per quello i piccoli interventi di strumenti folk, i cori che sembrano sommersi e la sovrapposizione di melodie sono i tesori che bisogna andar a scovare ascolto dopo ascolto. Vi assicuro che farlo è un'avventura bellissima.


Tirando le somme bisogna dire che Ett Fjärran Kall soffre, e cresce, dalla presenza ingombrante delle caratteristiche del black metal. Sembra un discorso contraddittorio ma lo è volutamente. Ci soffre perché questa modalità è così importante da coprire tutto e da non acconsentire delle variazioni importanti. Ma, allo stesso tempo, cresce perché sono formule che funzionano molto bene e che aiutano i Fornhem a giungere al punto da loro desiderato. Forse sarebbe bello immaginare di lasciare molto più spazio a tutta la parte di contaminazioni, in questo caso folk, perché, in questo modo, il loro discorso diventerebbe ancora più autorevole. In tutti i casi questo è un buon lavoro.

Voto 7,5/10
Fornhem - Ett Fjärran Kall
Trollmusic
Uscita 25.08.2017


mercoledì 16 agosto 2017

Akercocke - Renaissance in Extremis: la logica della non-logica

(Recensione di Renaissance in Extremis degli Akercocke)


Qualche volta non sembra che siamo schiavi del tempo. Anzi, ci sono momenti nei quali il tempo vola senza lasciarci possibilità di prendere consapevolezza; invece, in altri momenti, ci sono periodi che sembrano essere appesi senza voler mai progredire. Il tempo è complesso, paradossale e molto, molto personale. Per quello qualche volta la cosa migliore è fare un passo al lato, far calmare le acque, e poi tornare con tutta la voglia, forse più grande che mai.

Il ritorno degli Akercocke mette fine ad una lunghissima parentesi discografica di dieci anni. A romperla ci pensa uno splendido lavoro chiamato Renaissance in Extremis. Per chi conosce la band senz'altro è molto chiaro che gli aspetti bizzarri, partendo dal fatto che siamo di fronte ad una band di progressive death metal che suona in giacca e cravatta, siano all'ordine del giorno. Ma è proprio questo a ingigantire la figura della band. Non siamo di fronte all'ennesimo progetto che cerca di ricreare elementi sentiti o risentiti. No, nel caso degli Akercocke c'è un confluire di elementi che rendono questo quartetto londinese unico. Per quello sia le tematiche dei loro brani che tutto quello che musicalmente viene fatto ha un'altezza importante, come se fossero dei validissimi esempi da tenere in considerazione e da seguire con ammirazione. Quest'album sembra immerso nella più importante mancanza di logica che ci sia, ed invece finisce per essere coerente ed esaustivo. In pochi minuti si viene catapultati nel passato musicale del progressive death metal per poi avere a che fare con sonorità assolutamente moderne. Si passa da una brutalità spinta ad uno spirito di riflessione encomiabile. Dal voler impattare l'ascoltatore con parti molto spinte, ad incantarlo con parti vellutate. 

Renaissance in Extremis

Per quello qualsiasi definizione di Renaissance in Extremis rischia di essere superflua. Senz'altro diventa abbastanza chiaro che siamo nel mondo del death metal ma tanti altri aspetti ci portano a spasso qua e là. Partendo col profilo progressivo assolutamente presente. Profilo che porta ad avere dei brani molto strutturati, dove batteria e chitarre si divertono a dimostrare la propria bravura senza, per quello, risultare osceni. Ma non sono soltanto questi gli elementi che gli Akercocke mettono in gioco. C'è una voluta dose di sperimentazione che si traduce in fraseggi molto interessanti, che giocano volentieri con dissonanze ricreando delle atmosfere rarefate. Un altro aspetto che comporta ulteriore scompiglio e quello dei registri vocali, dove il growl sembra orrendo, monocorde, spinto. Invece la voce pulita spazia, giocando con ogni momento dando interpretazioni proprie. Questo confluire di elementi che potrebbero cozzare è senz'altro l'aspetto più interessante di questo lavoro, perché ci si ritrova ad essere portati in una dimensione parallela, in un mondo dove le nove tracce di questo disco accendono e spengono soli capricciosi sopra a cieli rosso sangue.

Renaissance in Extremis

Renaissance in Extremis prende tutte le caratteristiche di un lavoro inimitabile. E' una continua sorpresa che si sviluppa senza un filo logico. Per quello il primo ascolto è sicuramente quello più affascinante, perché gli elementi "regalati" dagli Akercocke sono una costante sorpresa, sorpresa che non può essere in alcun modo prevista. Quando più brutale sembra tutto, ecco che abbiamo un respiro profondo di distensione. Invece quando ci calmiamo eccessivamente in mezzo ad un incantesimo esotico ecco il colpo di grazia che urla presente. E' questa paranoia musicale ben strutturata quella che fa di questo disco un lavoro interessantissimo.

Akercocke

E' difficile pescare qualche piccolo brano in questo insieme così eterogeneo ma ci provo.
Consiglio dunque l'ascolto di Familiar Ghosts dove quest'aria eterea diventa piena protagonista di un brano che è violento senza dover essere urlato, che è "strano" perché sembra incantevole ma è sempre raro e prezioso. 
A Final Glance Back Before Departing è un altro brano che continua nella stessa linea. Musicalmente ricorda il discorso musicale dei Death ma la sua costruzione da la stessa idea di qualcosa di sovrannaturale e che, dunque, non viene compreso fino in fondo. 
A Particularly Cold Sept sembra rubata da qualche altro genere musicale per poi diventare progressiva, come se la band, per qualche piccolo secondo, si spogliasse della parte metal, ma dopo ecco il grande colpo ed il ritorno prepotente alle sonorità più spinte.


Il ritorno è sempre un'incognita, perché, soprattutto in questo caso, i tempi cambiano così significativamente che dieci anni possono aver spinto tutto in direzioni molto variopinte. Per quello se si ha la personalità che hanno gli Akercocke allora può sentirti tranquillo. Infatti questo Renaissance in Extremis non ha tempo. Mi spiego meglio, è indubbio che una serie di elementi fanno pensare ad un'epoca piuttosto di un'altra, ma tirando le somme questo è un disco che si allontana da qualsiasi logica temporale, diventando un'isola ferma in mezzo all'oceano, pronta a far impazzire chi la raggiungerà.

Voto 8,5/10
Akercocke - Renaissance in Extremis
Peaceville Records
Uscita 25.08.2017

lunedì 14 agosto 2017

Vinsta - Wiads: fresco suono alpino

(Recensione di Wiads dei Vinsta)


La natura è così importante, e in realtà dovrebbe gestire tutta la nostra vita, da segnare la direzione musicale di certi generi. Infatti diventa quasi automatica la associazione di certe sonorità con certi dintorni. E tutto questo mette in risalto un aspetto molto importante, cioè quello che l'appartenenza geografica di ciascuno molto spesso non coincide con i gusti musicali, come se in tanti fossero, o fossimo, nati nella parte sbagliata. Per fortuna c'è la musica che riempie queste inesattezze e ci fa sentire "a casa".

Per i Vista non sussiste la problematica della quale vi ho narrato prima. Nati nelle Alpi austriaci è proprio quello che vedono e respirano che viene messo in musica. Il primo esempio di tutto ciò ha il titolo di Wiads ed è un disco contundente. Parto dicendo che sono i due mondi fondamentali che vengono messi insieme in questo lavoro. Il primo è quello già segnalato, cioè l'appartenenza geografica e la fortissima presenza delle montagne dentro alla loro musica, non soltanto come tematica ma anche a livello di dialetto, perché le loro canzoni sono cantate con la loro forma dialettale propria. Il secondo aspetto è quello del genere che sviluppato molto magistralmente. Il loro è un progressive death metal che richiama tantissimo i primi lavori, e per molti i migliori, degli Opeth. Vale a dire canzoni molto lunghe di sviluppo orizzontale dove c'è spazio al virtuosismo misurato. La differenza con la band svedese sta nel fatto che i Vista accentuano l'aspetto più folkloristico della la loro terra e fanno convivere quest'aspetto con il metal. Forse questo è l'aspetto essenziale che da un'impronta molto personale alla band, evitando che si possa parlare di vicinanze troppo importanti con altri gruppi.

Wiads

Musicalmente, dunque, questo Wiads ha molti aspetti che lo mettono a pari livello con tanti gruppi che hanno sviluppato magistralmente il progressive death metal. C'è la giusta dose di progressività, senza diventare mai una dimostrazione tecnica, c'è la giusta dose di mistero ed oscurità, infatti le proprie creazioni hanno qualcosa di buio, di spiritico, di narrativo, e c'è una forte componente locale. Per quanto riguarda quest'ultima caratteristica è molto bello che l'interventi maggiori abbiano a che fare con la lingua, o dialetto, e con certi interventi strumentali che vanno ad ingrandire il quadro generale, senza distoglierlo della sua direzione principale. Infatti anche se siamo di fronte a questi interventi in nessun momento si può parlare di vero e proprio folk metal, perché la matrice della presenza di aspetti locali non risponde assolutamente a quella che usano i gruppi di quel genere musicale. I Vista utilizzano questi elementi per dare la personalità necessaria a far capire qual è il loro messaggio e come lo portano avanti. 

E' proprio qua che bisogna soffermarsi e approfondire. Quello che fa di Wiads un disco pregevolissimo, anche considerando che si tratta del primo lavoro della band, è proprio la personalità che c'è dentro. Potremmo dire che i Vista sono gli Opeth austriaci ed il confronto non è per niente esagerato. Naturalmente bisognerà vedere se nel tempo la band sarà in grado di mantenere quest'etichetta ma come primo passo c'è da dire che questo è un lavoro rotondo, suonato magistralmente e pieno di aspetti nuovi. Un'onestissima prova.

Vinsta

Voglio guardare da più vicino due dei brani che compongono questo lavoro.
Il primo è Gedonknschwa. Forse in questa canzone si può "leggere" senza alcuna difficoltà l'appartenenza al progressive death metal. E' un brano lunghissimo, costruito su riff che funzionano perfettamente, su cambi di ritmo trascinanti e su fraseggi di chitarra perfetti, sui quali il basso non trova problemi ad essere veramente presente. I cambi di tempo e le diverse parti che si susseguono fanno di questo brano un bellissimo esempio di come giocare con la dinamica. 
Il secondo è Bluatlauf. Se il primo brano lavorava con degli aspetti più globali in questa canzone si sente molto di più l'impronta locale. Sia l'armonizzazione della voce, sia la presenza del violino sono tutte caratteristiche che fanno capire, senza parole, quello che il gruppo ci sta raccontando, quello che sta costruendo, quella che è la finestra spalancata verso le cime innevate e come quella presenza maestosa ha un peso su tutta la vita.



Musica che sa di neve, che sa di notte, che sa di vento. Musica che si distoglie quanto più possibile dai rumori degli uomini. Musica che può servire come ponte per unire tanti posti con le stesse caratteristiche. Musica che nella sua dimensione globale, facilmente comprensibile da un vasto pubblico, ci introduce elementi locali. Non per un fatto di promozione turistica, ma semplicemente per l'onestà di stare creando qualcosa in un determinato tempo e spazio. L'onesta c'è e si sente. Per quello Wiads è un perfetto debutto, complimenti ai Vinsta. Sarà bello seguire i loro passi.

Voto 8,5/10
Vinsta - Wiads
Trollmusic
Uscita: 25.08.2017

venerdì 11 agosto 2017

The Hirsch Effekt - Eskapist: per ricordare dove viviamo

(Recensione di Eskapist dei The Hirsch Effekt)


Forse un aspetto che non è chiaro a molte persone è che il disegno attuale del mondo dipende da una serie di fattori. Le presunte "invasioni" d'immigranti nel vecchio continente, che in realtà non sono tali, sono una conseguenza di anni ed anni di politiche esteri che hanno dipinto un paesaggio così terribile che l'unica via d'uscita, per molte persone, è quella di fuggire dalla propria patria, cercando di vivere altrove. Purtroppo a livello personale siamo in grado di gestire solo una parte della nostra vita, ma tutto il resto è conseguenza delle scelte che facciamo quando permettiamo di essere governati da qualcuno piuttosto di qualcun altro, perché permettiamo che le logiche mondiali vengano affidate al dio denaro, che arricchisce solo una piccola casta anche a prezzo della vita di tanti esseri umani. Per quello, quando qualcuno si ritroverà ad essere infelice con la propria comunità o società non dovrà proprio puntare il dito verso "l'invasore" ma dovrà chiedere il conto a decenni e decenni di politica internazionale sbagliata, e che non sembra accennare un cambiamento veramente importante.

Eskapist

Queste considerazioni mi vengono spontanee dopo essermi impregnato nelle parole del nuovo disco dei tedeschi The Hirsch Effekt. Il disco s'intitola Eskapist e ha una marcata impronta sociale nei propri brani. Ma, come capita quasi sempre, il messaggio è narrativo e ricco di prospettiva. Non siamo dunque di fronte ad un manifesto politico ma alla creazione di storie che esemplificano al meglio molti degli aspetti salenti della nostra società odierna. E se pensiamo che questo disco abbia origine nella patria di una delle peggiori pagine della storia, per quanto riguarda la xenofobia, credo che lo schiaffo faccia ancora più male.
C'è un altro aspetto che mi chiama enormemente l'attenzione in questo disco, ed è l'emotività ed il trasporto con il quale viene suonato. Ed è qualcosa di sorprendente perché i generi sviluppati dalla band, dei quali parlerò in seguito, non sono inizialmente così sentiti, anzi, molto spesso prendono una piega più narrativa che tende ad abbracciare storie fantascientifiche. Tutto questo mi fa già affermare che siamo di fronte ad un disco bellissimo, molto molto interessante e che, non ho dubbio, comparirà in più di qualche lista delle migliori uscite del 2017.

Eskapist

Vado a parlarvi della musica che costruisce questo Eskapist. Anzi tutto dobbiamo considerare che The Hirsch Effekt è un trio, basso, chitarra e batteria. Invece la pienezza che si sente in questo disco va oltre a questa formazione così "power". E' vero che, in quel senso, la band non si problemi a lavorare con dei synth, situati magistralmente in certi punti, soprattutto nei piccoli interventi strumentali che funzionano come collante tra le diverse tracce. Oltre a queste aggiunte tutto il resto è un massiccio lavoro strumentale che funziona perfettamente. Forse pochi formati musicali come i trio riescono ad avere una chiarezza completa di quello che sono i ruoli di ciascun strumento all'interno di una band, ma nel caso di questo disco andiamo anche oltre. La capacità strumentale dei tre membri del gruppo è impressionante, suonando dei brani veramente complessi con una sicurezza naturale. Un'altro aspetto da considerare è l'insieme di generi che vengono incanalati in questo disco. Abbiamo un ampia dose di metalcore, un'influenza e presenza fondamentale di progressive metal ma anche molti aspetti math. In un certo modo mi ricordano certe cose fate dai rimpianti The Mars Volta, ma, torno a sottolineare, qua siamo di fronte a solo tre musicisti. 
Andando oltre a quello che sono i generi che confluiscono in questo disco è interessante pensare che la complessità di questo insieme sia una bella metafora della complessità del mondo attuale, dove le divisioni culturali e religiose si fanno sempre più evidenti senza che ci sia un vero sforzo di comunione. 

Eskapist

Sicuramente ritrovarsi con un disco che in una canzone narra la visione di un neonazista per poi passare ad un'altra che racconta la storia di una bambina siriana di 10 anni e dell'impossibilità, per un occidentale, di capire fino in fondo quello che ha vissuto nella sua patria martoriata, è sinonimo di una grande ambizione. Infatti Eskapist è un disco molto ambizioso che non si nasconde dietro nulla. The Hirsch Effekt trasforma questo lavoro in una dimostrazione piena delle proprie capacità, per quello ne viene fuori un disco ricchissimo, sia musicalmente, sia narrativamente. E dall'altezza di questa ambizione ci ritroviamo un disco rotondissimo, che funziona perfettamente perché affascina canzone dopo canzone, per via dei sorprendenti giri che ci guidano in posti inimmaginabili.

The Hirsch Effekt


Voglio pescare tre canzoni che mi sembrano veramente interessanti, sia musicalmente che per quanto riguarda le parole.
La prima è Natans, ed è il brano che accennavo prima, quello che racconta la storia, vera, di una bambina siriana di 10 anni. Credo ce sia un brano riuscitissimo perché s'impregna di due aspetti fondamentali, cioè stare parlando di una bambina e raccontare quello che possiamo solo immaginare di un luogo come la Siria d'oggi. E' anche la parte strumentale che abbraccia tutto quanto.
La seconda è Inukshuk è ancora una volta la tematica gira intorno all'infanzia, come se la band avesse molto chiaro che se c'è un cambiamento possibile questo deve provenire dalle generazioni più giovani. In questo caso si parla dei matrimoni, o delle relazioni in genere, combinate, relazioni che dal punto di vista della band non dovrebbero proprio esistere, perché come dicono loro o entrambe le parti sono felici di stare insieme o la relazione non dovrebbe assolutamente esistere.
Il terzo brano è quello più ambizioso di questo disco. Si chiama Lysios e va oltre i 14 minuti di durata. E' un brano narrato in prima persona dalla prospettiva di un alcolizzato che non solo non riesce a tirarsi fuori dal suo problema ma guarda con disgusto tutto quello che ha a che fare con la sua vita. Musicalmente si sente il disaggio e lo schifo che comporta vivere una vita del genere. E' una canzone cupa ma dentro a quest'oscurità riesce anche ad essere epica. Forse questo è il punto dove possiamo, più facilmente, apprezzare a pieno la parte progressiva della band.


Eskapist è un conglomerato di storie di pertinente attualità. E' una voce molto intelligente in mezzo all'oceano d'ignoranza che sembra crescere sempre di più. Per quello il suo ascolto non deve limitarsi alle sensazioni che possono venire fuori dalla parte musicale, ma devono essere assolutamente allineate alla profondità dei testi, solo così lo sforzo dei The Hirsch Effekt sarà pienamente ripagato.

Voto 9/10
The Hirsch Effekt - Eskapist
Long Branch Records
Uscita 18.08.2017

mercoledì 9 agosto 2017

Alwanzatar - Heliotropiske Reiser: ascoltare le stelle

(Recensione di Heliotropiske Reiser di Alwanzatar)


Creo che la vita è un mistero e dentro a questo mistero chi è nato col talento musicale è un completo privilegiato. Ho sempre provato un'infinita ammirazione verso chi ha l'udito assoluto e riesce a suonare qualsiasi strumento, e a concepire la musica, come se fosse la cosa più naturale al mondo. Tutte queste cose consentono che, oggi, chi sa muoversi dentro al linguaggio musicale e quello tecnologico, sia in grado di comporre e registrare un disco senza aiuto di nessun altro.

Alwanzatar è un one man project esistente dal 2011 e Heliotropiske Reiser è il primo lavoro che viene fuori dalla mente di Krizla, personaggio che si cella dietro al progetto. Questo è un disco strumentale nato dall'imponente paesaggio che si trova nei dintorni dello studio di registrazione dove l'album è nato ed è stato registrato. 
Sicuramente per chi ascolterà questo disco subito verrà fuori questa sensazione di natura, di una certa cosmologia molto presente, infatti questo è un disco che sembra essere la voce delle stelle, che sembra raccontare il percorso della luce fino a che ci raggiunge. Non ci dimentichiamo che tante stelle che guardiamo affascinati sono morte anni ed anni fa. Ecco, è questo anacronismo quello che si sente anche in questo disco. Questo potrebbe perfettamente un lavoro nato una trentina d'anni fa. Potrebbe esserlo perché c'è questa specie di estetica marcata che ci riporta indietro nel tempo, ma la cosa interessante è che, nello stesso tempo, questo non sembra un disco "antico" ma assolutamente attuale. 

Alwanzatar

Quello che ci collega con un passato non tanto remoto è, prevalentemente, la sonorità krautrock, sempre capace di inglobarci dentro ad una epoca globale molto particolare. C'era ancora in atto quella apatica guerra fredda, che imponeva un adeguamento dei modi di porsi che erano abbastanza patetici. Non ci si poteva sbilanciare troppo, perché farlo significava essere col nemico. Quella stessa sensazione viene fuori dalla musica. Una musica gelida, inquietante, mai troppo emotiva e con un marcato sguardo futuristico, perché, in un certo modo, ogni fazione doveva convincere il mondo di avere le idee molto più chiare su quello che sarebbe stato l'avvenire. Ma Heliotropiske Reiser non si ferma lì, ci sono anche tantissimi elementi del presente, come il trance, l'acid house o l'electronic progressive rock. Insomma, è un disco odierno con lo spirito negli anni 70. 

Parlando sempre del cosmo e delle stelle c'è un'altra lettura che mi sembra assolutamente valida. La luce delle stelle non solo percorre chilometri e chilometri fino ad arrivare a noi ma, in un certo modo, è testimone di tanti cambiamenti. Per quello Heliotropiske Reiser è un album molto "serio" e profondo. Lo sforzo di Alwanzatar non è solo quello di costruire un disco che abbia certe sonorità elettroniche "nostalgiche" ma il suo peso è veramente importante ed imponente. Siamo di fronte a misteri, a rivelazioni che cerchiamo come l'acqua nel deserto.



Per illustrare tutto questo discorso voglio sottoporre alla vostra osservazione un solo brano, quello più lungo ed importante di questo lavoro. S'intitola Rikosjett e ha la spettacolare durata di 17 minuti. Con una durata così imponente sarebbe abbastanza logico pensare di essere di fronte ad un brano in costante evoluzione, ed invece questa traccia e un apparire e scomparire di layers che si aggiungono all'ossessiva base che non lascia mai la sua strada. E' interessante vedere che questi strumenti non sono prettamente elettronici ma che abbiamo pure un flauto che si diverte ad entrare ed uscire. E' come se l'essenza fosse sempre la stessa, ed intorno girassero tanti elementi.

La forza di Heliotropiske Reiser sta nella coerenza di quello che cerca di comunicare. Curiosamente è un disco complesso e molto semplice allo stesso tempo. Complesso per la ricchezza d'arrangiamenti presenti e per l'originalità che si disegna ma semplice per via della direzione che insegue e che riesce ad appagare completamente. Un bello sforzo uscito fuori dalla mente di Alwanzatar.

Voto 7,5/10
Alwanzatar - Heliotropiske Reiser
Apollon Records
Uscita 18.08.2017


lunedì 7 agosto 2017

Hell - Hell: dall'inferno alla realtà

(Recensione di Hell dei Hell)


La scelta dei nomi nella musica è sempre un'impresa ardua. Come ho insistito più volte, molto spesso sembra che tutto sia già stato inventato e che c'è ben poco di nuovo da esprimere. Anche questo succede per quanto riguarda il dare un'identificazione a ciascun progetto. Per quello ci ritroviamo, spesso, ad avere delle omonimie che, ormai, in molti casi sembrano essere accettate. Ma per arrivare a quel punto indubbiamente la condizione deve essere quella che una particolare scelta di nome è la soluzione ideale e finale, che è una parola che racchiude tutto il concetto di un progetto musicale.

Intitolare il proprio gruppo Hell è una responsabilità ben grande. Non soltanto perché esiste già una band storica con quel nome ma perché è un nome tutt'altro che banale. E dunque, che cos'è "l'inferno"? Potremmo sbizzarrici elencando un'infinità di risposte ma quella che sembra essere più attinente a questa recensione è quella di chiedersi come tradurre il concetto d'inferno nella musica. In quella linea credo che questo disco, anch'esso intitolato Hell, possa essere una fedele dimostrazione di un'eventuale colonna sonora infernale.
Ma prima d'addentrarci in queste considerazioni bisogna contestualizzare la band della quale oggi vi parlo. Hell è praticamente un progetto solista, di un personaggio statunitense, che si cella dietro alle iniziali M.S.W. La band ha poi un insieme di musicisti che esprimono dal vivo quello che possiamo ascoltare nei quattro dischi registrati fino ad oggi. Un'altra particolarità sta nel fatto che questo disco sia omonimo al primo loro lavoro. Poca fantasia all'ora di cercare titoli o una mossa ben studiata e voluta? Io mi sbilancio per la seconda alternativa. Un po' come facevano i Led Zeppelin nei loro primi dischi anche qua c'è la volontà di non indirizzare eccessivamente l'ascoltatore con un titolo pesante, per quello diventa una scelta obbligata quella di lasciare quella parte sospesa, aperta a qualsiasi eventuale interpretazione. 
Torniamo ad occuparci, invece, di quello che è questo disco e della domanda che è rimasta sospesa. Dal mio punto di vista questo lavoro ha molto d'infernale, diciamo che per un 90% ci catapulta completamente in una concezione sonora di quello che dovrebbe essere l'inferno, ma lascia delle piccole aperture che fanno intravedere qualcos'altro.

Sentient Ruin Laboratories


Come al solito queste aperture si traducono in contaminazioni, sempre preziosi. Nel caso dei Hell il punto di partenza, e dunque la loro musica infernale, proviene dal doom. Un doom suonato in modo d'incrementare quanto più possibile tutto quello che contraddistingue questo genere. Ritmiche stracciate e pesantissime, chitarre che non si avventurano mai al di là delle ottave più basse del registro chitarristico ed un basso che fa da collante a tutto quanto. Metteteci sopra delle voci infernali e la pesantezza, e sofferenza, che dovrebbe contraddistinguere l'inferno viene chiaramente visualizzata. Questo è quello che ci accompagna in gran parte di questo disco, ma, a sorprenderci, ci ritroviamo con due brani finali che si allontanano da questa prospettiva, soprattutto l'ultimo. E' lì che Hell in un certo modo diventa terreno e si collega con le emozioni. Tradotto in musica queste ultime due tracce abbracciano un certo discorso post rock o dark ambient, sempre con una marcata presenza gotica. 

Tutti abbiamo nel nostro immaginario una definizione dell'inferno. Sia fantascientifica o reale è sempre lì, pronta ad accogliere quello che per ciascuno di noi può significare quel concetto. Ma credo che lo sforzo portato avanti nella maggior parte di questo disco è che Hell è una perfetta definizione di quel posto. La genialità, e la bellezza, di questo disco sta nel fatto che quando pensiamo che tutto vada in quella direzione veniamo sorpresi con delle aperture inaspettate, che passano dall'immaginario al reale. Perché, in un certo modo, tutti affrontiamo prima o poi il nostro proprio inferno.

Sentient Ruin Laboratories

Come ho detto, per me questo disco ha due parti molto marcate, quella immaginaria e quella reale. La prima è molto più importante perché ingloba gran parte di questo lavoro, ma io voglio pescare una canzone per parte.
Dunque l'inferno lo troviamo, per esempio, in Helmzmen, traccia d'apertura di questo album. Non c'è dubbio, il doom regna sovrano portandoci a passeggio tra paesaggi che parlano di desolazione, di resa totale, di nessun'uscita possibile.Tutto è schiacciante, tutto cerca di essere drastico quanto drastico è questo brano. 
Per quanto riguarda la parte "reale" credo che Victus è un perfetto esempio. E' il brano più lungo del disco e nella sua prima parte sembra sempre in linea col restante materiale, ma arrivati a metà c'imbattiamo in una linea di chitarra arpeggiata che lascia spazio ad un arrangiamento di corde. E' questa intimità che diventa preziosa, perché non si tratta più d'immaginare quanto di sentire. Brano bellissimo.

E' interessante quello che mi capita spesso mentre scrivo. Parto con una certa idea ma, piano piano che le parole escono insieme al susseguirsi delle tracce, finisco per prendere delle strade abbastanza impensate. Ecco, per me Hell, in un primo momento, era un disco infernale, che non lasciava quasi spazio all'intensità di quest'idea. Ed invece facendo scivolare le parole mi sono ritrovato con un album di due anime, ed è grazie a questa seconda anima che questo disco diventa interessantissimo.

Voto 8/10
Hell - Hell
Sentient Ruin Laboratories
Uscita 11.08.2017

sabato 5 agosto 2017

Sangue Nero - Viscere: il cammino più oscuro

(Recensione di Viscere dei Sangue Nero)


Molto spesso non siamo capaci di accettare come siamo formati. Pensare che il nostro corpo è composto da una serie di organismi fa ribrezzo a più di qualcuno che preferisce vivere "al oscuro" di ciò. Ma come sempre dovrebbe essere importante avere la consapevolezza completa di come funzionammo, di quello che abbiamo dentro, delle funzioni di ogni parte del nostro corpo. Per quello diamo una definizione molto forte al concetto di "viscerale", perché lo associamo a qualcosa che non ha filtri, che arriva diretto senza chiedere permesso.

Il disco del quale vi parlo quest'oggi è viscerale, tanto da intitolarsi proprio Viscere. E' il debutto dei toscani Sangue Nero che si presentano al grande pubblico con un disco massiccio. Questo perché se c'è qualcosa che contraddistingue il lavoro di questo trio, è il fatto che le cinque traccie che formano questo disco, che non hanno alcun titolo oltre alla numerazione, sono delle traccie piene di personalità che presentano un progetto che può trovare paragone in certe band ma solo fino ad un certo punto. Infatti qui le viscere non solo rappresentano il posto di provenienza dell'intenzione musicale della band ma sono quasi l'elemento essenziale di un rito sciamanico di magia oscura. Per quello si passa dalla brutalità ad un certo genere di spiritualità oscura molto velato per poi riabbracciare l'energia che viene fuori dai brani di questo lavoro. Ma occhio, perché sarebbe semplice lasciarsi ingannare pensando che la brutalità sia l'elemento cardine di questo lavoro e così lasciarsi sfuggire delle sfumature veramente interessanti.

Viscere


Come prima cosa, per capire Viscere, bisogna sapere che ci troviamo dentro il mondo del black metal. Ma da questo punto di partenza prendiamo una serie di direzioni contraddittorie che ricordano, come intenzione, quello che viene fatto dagli olandesi Urfaust. Personalmente credo che non sia sbagliato affermare che c'è anche una ricerca un po' avanguardista nella musica dei Sangue Nero, che non disdegnano l'utilizzo di accordi dissonanti per incrementare la propria estraneità con rispetto al mondo estero. L'utilizzo, poi, di uno strumento così particolare ed inconfondibile come il didgeridoo da un tocco di ancestrale a quello che ci viene proposto dalla band. Rimarco, ancora una volta, la forte presenza di una spiritualità oscura, di una specie di racconto che fluttua nel vento parlando di quello che c'è d'oscuro in ognuno di noi. Ma questa oscurità non viene celebrata, questo non è un disco panflettistico. Questa oscurità viene raccontata, quasi come se fosse un discorso in prima persona dove strumenti e voci s'intrecciano per far capire al meglio queste storie.   

Un canto oscuro, dunque, che ritrova le radici nell'alba dell'uomo, perché, diciamocelo, certe paure non tramontano mai ed accompagnano l'umanità dai suoi albori. Viscere ha quel peso, il peso di qualcosa di così terrificante da lasciarci bloccati, ma come sempre è quel non voler guardare che ci fa guardare di più. Ecco, la musica dei Sangue Nero va in quella direzione, in quell'orrendo insieme che diventa affascinante. C'è da celebrare la loro capacità d'individuare gli ambienti sonori che amplificano questa sensazione, per quello questo è un disco intelligente, non semplice. ma una volta dentro a quel vertice non ci sono molte vie di scampo.

Sangue Nero

Come dicevo prima un'altra particolarità di questo lavoro sta nel fatto che i brani non hanno dei titoli ma corrispondono soltanto ad una numerazione. Pesco due canzoni che mi sembrano le più interessanti.
La prima è III. Si tratta di un fiume in piena dove la band toscana da mostra di certi aspetti principali. Uno, che il riuscir ad impattare non dipende tanto dall'energia messa in gioco quanto di come si lavora con quello che si ha a disposizione. Infatti certe cose mi ricordano tanto il lavoro di una band fantastica come i Ved Buens Ende. Questo perché non siamo di fronte ad un "semplice" lavoro di black metal ma ha un'ondata oscura che ci travolge. Per quello le dissonanze sono d'obbligo e molto ben riuscite.
La seconda traccia è IV e qua c'imbattiamo nella parte più ancestrale ed oscura della band. Complice fondamentale è il didgeridoo che non ci mette nulla a progettarci in un mondo tribale. Ma sarebbe troppo facile che basta solo quello per creare un brano inquietante. Per quello è tutta la band ad assecondare ed a fare crescere il discorso musicale del brano fino a farlo diventare qualcosa d'impattante, di psicotico, di ossessivo ma d'infinita ed oscura bellezza.



Viscere è un disco che potrebbe sembrare essere un disco fatto di getto, con la voglia di buttarci tutta l'oscurità possibile ma non è così. Questo è un lavoro che dimostra che da parte dei Sangue Nero c'è una bella riflessione, un capire come intrecciare i diversi elementi e le diverse parti che costruiscono questo disco, dando così come risultato un linguaggio proprio che, torno a ripetere, può trovare paragoni in cose esistenti ma con non è stato fatto fino ad adesso con questa modalità. Ottimo debutto.

Voto 8,5/10
Sangue Nero - Viscere
Third I Rex
Uscita 23.07.2017

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